Titolo della pubblicazione: Titolo della pubblicazione:La Clinica di Winnicott
Autore: Laura Dethiville
Prefazione e traduzione: Pia De Silvestris
Editore: Alpes Italia
anno di pubblicazione: 2016
ISBN: 9788865313565
Recensione a cura di Laura Delle Site
Laura Dethiville, psicoanalista francese, membro della società di psicoanalisi freudiana (CSPF), anima un seminario su D. W. Winnicott, a Parigi, da più di 15 anni da cui sono stati tratti due recenti libri, uno pubblicato nel 2008, “D.W. Winnicott, un nuovo approccio” e questo secondo, di cui si parlerà, “ La clinica di Winnicott”,(2013) pubblicato in Italia nel 2016. In questo secondo libro, l’autrice riesamina nei vari capitoli i concetti basilari della teoria winnicottiana, utili a comprendere meglio il suo modo di procedere nella clinica.Questo breve saggio, molto denso ha il pregio di fare un’attenta disamina dei concetti e delle idee di fondo che informano tutta l’opera teorica e clinica dell’autore soffermandosi maggiormente sui punti più dibattuti e discussi come la funzione del padre, all’interno dell’ambiente famigliare, “sufficientemente buono”, la concezione ed il ruolo dell’aggressività per l’integrazione psicosomatica e l’individuazione del bambino, per citarne alcuni, con un linguaggio semplice e chiarificatore, ma al contempo molto evocativo.Nel primo capitolo si fa riferimento a cosa intenda Winnicott per consultazione terapeutica per i bambini in difficoltà: egli riteneva che per loro fosse necessario, durante tali consultazioni, insieme ai genitori ed agli educatori, ricreare un ambiente “sufficientemente buono”, che potesse essere utilizzato dal bambino come “ oggetto soggettivo”, sentito cioè come una sua creazione. Ciò può rendersi possibile tramite un nuovo adattamento dell’ambiente famigliare ai bisogni del bambino, indirizzato dal terapeuta, che parallelamente, durante la terapia, possa prestarsi ad essere vissuto, anch’esso, come un “oggetto soggettivo”.Nel secondo capitolo, infatti, si descrive ampiamente il gioco condiviso dello “squiggle”, il disegno co-creato in seduta dal bambino e dal terapeuta che conduce al concetto chiave della tecnica psicoanalitica di Winnicott: il forte adattamento empatico ai bisogni psicologici del paziente, sia bambino che adulto, nel e dal punto in cui si trova, per creare qualcosa insieme che possa essere sentito un’autentica espressione di sè.Nel terzo e quarto capitolo, l’autrice passa ad illustrare la funzione del padre e della famiglia nello sviluppo dell’individuo, chiarendo quanto per Winnicott, sia il padre che la famiglia allargata abbiano un ruolo determinante nell’armonico sviluppo del bambino, alla pari della madre” sufficientemente buona”. Scrive la Detheville che nell’opera di Winnicott,- il riferimento alla funzione paterna è allo stesso tempo essenziale ed esplicito– (pag. 23) per assicurare in una prima fase il contenitore protettivo che avvolge la coppia madre –bambino, ed in una seconda fase, per favorire, con la sua presenza, la triangolazione e l’espressione dei sentimenti aggressivi del bambino verso la madre e della madre verso il bambino. Il padre così concorre con la sua presenza a fornire un ambiente famigliare definito “indistruttibile” che può sopravvivere all’odio del neonato permettendogli di sentirsi sicuro e di passare dalla relazione con oggetti parziali materni all’uso dell’oggetto, vissuto come oggetto totale e separato da sè. La famiglia è costituita da tutti i suoi membri e tutti concorrono a creare uno spazio per l’integrazione di ciascun membro come spazio transizionale tra l’interno e l’esterno.Nel V e VI capitolo L’autrice passa poi ad approfondire la situazione nella quale l’ambiente famigliare abbia fallito nella funzione d’integrazione. La deprivazione che ne può derivare può manifestarsi nel bambino/ragazzo in una tendenza antisociale, che può essere letta come una ricerca di un “ risarcimento” delle perdite subite. A queste manifestazioni si può rispondere cercando di ricreare un ambiente sufficientemente buono per la ripresa della crescita del bambino/ragazzo, interpretando i suoi gesti antisociali distruttivi come un’aggressività che si muove verso uno scopo integrativo del sé, nella ricerca di riavere “qualcosa di cui si è fatta prima esperienza”.A questo punto l’autrice chiarisce ed approfondisce la concezione dell’aggressività per Winnicott : all’inizio della vita c’è una motricità primaria che si manifesta in una scarica motoria che non tiene conto degli altri, il lattante è “ ruthless”, senza riguardo per gli altri, senza che ciò si accompagni a sentimenti di odio, troppo elaborati che presuppongono un rapporto con una persona totale. E’ invece determinante la lettura che fa la madre/ambiente di questa prima espressione aggressiva del bambino: se può leggerla come appartenente alla sua vita pulsionale essa potrà essere integrata dal lattante come “distruttività positiva”, come capacità, cioè, di muoversi verso l’oggetto usandolo e distruggendolo, senza che esso sia veramente distrutto, avviandolo alla fase successiva del riconoscimento dell’oggetto. Se al contrario la manifestazione aggressiva del bambino viene letta come un attacco intenzionale a cui reagire, respingendola, essa non potrà essere integrata dentro di sè, divenendo un’aggressività patologica, che si potrà rivolgere verso di sè o verso gli altri, inficiando la spontaneità e la creatività del bambino. Quindi per Winnicott, l’odio, l’invidia ed il sadismo non sono pulsioni innate ma secondarie e derivanti dalla relazione con il primo ambiente con cui il bambino è confuso, divergendo nettamente dalle posizioni di M. Klein.Si passa poi a trattare quel tempo della vita “speciale” che è l’adolescenza, considerato un periodo di crisi necessario ad una rivalutazione di sè, un tempo di attesa connotato da tendenze contrapposte, angoscia, onnipotenza, ansia e depressione per il quale, come dice l’autrice: “ non c’è bisogno di curare ma di permettere lo svolgimento di una dinamica in corso.” (pag.79) Il tempo per l’adolescenza se non attraversato nel giusto modo può portare ad “ una crisi d’adolescenza” con possibili e pericolosi passaggi all’atto, atti aggressivi verso se stessi e gli altri, in cui il ragazzo/a può misurare la sua nuova forza fisica e psicologica agendo realmente nell’ambiente esterno. Per lo psicoterapeuta che si trova ad operare con l’adolescente non si tratta di curare ma di accompagnare…Scrive Winnicott che l’adolescente: “ non ha ancora la capacità d’identificarsi con le figure adulte senza perdere la sua identità personale”(D.W. Winnicott nel ( “ Il bambino deprivato”), l’analista deve diventare così un traghettatore. L’adolescente, come il neonato, in certi momenti, deve potersi vivere come il creatore del mondo.Negli ultimi due capitoli si affrontano due punti nodali della teoria e tecnica di winnicottiana: l’utilizzo della regressione e dello spazio di gioco nella cura. Winnicott ha evidenziato l’importanza della regressione ad uno stato di dipendenza nel lavoro clinico, in particolare riguardo ad alcune organizzazioni dell’io in cui può essere presente uno stato di congelamento dello situazione di carenza, in un’ attesa inconscia di ritrovare nuove condizioni ambientali più favorevoli. Il concetto di “holding “ definisce il modo in cui l’analista può contenere la situazione di regressione in modo più affidabile di quanto avvenuto nel passato del paziente, sottolineando maggiormente, rispetto ad altri autori, “ la capacità dell’analista di lasciarsi utilizzare come “oggetto soggettivo.” L’analista può essere totalmente presente, anche senza parole e gesti, facendo sperimentare al paziente” la capacità di essere solo” in presenza di un altro che non sia ne intrusivo ne assente.E’ in questa paziente attesa dell’analista che si può compiere “l’atto analitico”, propedeutico al momento creativo del paziente nel qui ed ora della seduta, riavviando i fenomeni transizionali nel territorio del “gioco” tra analista e paziente. La funzione dell’analista non è quella di precedere ma di accompagnare e sostenere il gesto creativo del paziente. L’autrice descrive, così, in maniera suggestiva , questa dinamica: “ Lo psicoanalista semina nello spazio transizionale, tra lui ed il paziente, idee che resteranno tranquillamente assopite…in attesa che il paziente possa accoglierle ed integrarle in senso risolutivo alla propria dinamica interna, e quindi create/trovate secondo le sue necessità e nella propria area di creatività.” (pag.108), sottolineando la posizione fondamentale dell’analista nel favorire tutte le condizioni perché il paziente trovi il proprio sé, per sentirsi con le parole di Winnicott : “ capace di esistere e di sentirsi reale.”( in “ Gioco e realtà”)Questa attenta e appassionata disamina dei concetti nodali della clinica di Winnicott, mi sembra che possa fornire uno strumento molto utile per una migliore comprensione dell’opera di questo importante autore, che nella scrittura suggestiva dei suoi libri, ha lasciato aperti ed in cerca di una maggiore definizione molti punti importanti della metapsicologia psicoanalitica.